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Linguaggio Inclusivo: Breve Guida sul Come Usarlo e Perché

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Redazione

Cosa si intende per linguaggio inclusivo? Ecco una breve guida per fare un po’ di chiarezza sulla questione.

Negli ultimi anni il tema del linguaggio inclusivo è riuscito a occupare pagine di giornali, dibattiti televisivi e intasare feed e home page dei nostri social, come mai?


La lingua è un potente strumento: non solo perché rispecchia i valori culturali della società che la utilizza, ma anche perché segue i mutamenti del tempo e può diventare un importante strumento di cambiamento sociale e politico.


Ecco quindi una breve guida su come utilizzare il linguaggio inclusivo nella lingua italiana. Non solo perché è un modo per tutelare le minoranze o i gruppi sociali discriminati, ma anche perché il suo utilizzo favorisce il cambiamento verso una società più inclusiva.

1. Linguaggio Inclusivo: Motivazioni e Necessità

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Cosa si intende quando si parla di linguaggio inclusivo? Anche se la questione è legata soprattutto al tema dell’identità di genere, in realtà è molto più complessa di così.


Usare un linguaggio più inclusivo significa non utilizzare parole, frasi, immagini e toni che promuovono stereotipi o discriminazioni legate all’età, al genere, all’orientamento sessuale, all’etnia, allo stato sociale o all’aspetto fisico.


Per esempio, la questione dell’identità di genere è emblematica. Da un punto di vista biologico, alcune persone (il 2% della popolazione) nasce senza un genere definito dalla nascita.


Mentre dal punto di vista culturale alcune persone semplicemente non si identificano in nessun genere, perché non si riconoscono nel binomio di questo costrutto sociale (persone non-binarie)

2. Donne e Inclusività

Prima di tutto le grandi assenti nella lingua italiana sono le donne; l’uso del maschile sovraesteso per riferirsi alla collettività è considerata ormai una convenzione grammaticale antiquata perché non dà visibilità alla presenza delle donne all’interno della società.


Lo stesso vale per l’utilizzo del maschile in senso neutro: diverse ricerche dimostrano quanto questo utilizzo distorto della lingua sia svantaggioso per le donne. Infatti implica un oscuramento della loro esistenza ed è particolarmente svilente per le persone interessate.


Per esempio, fino a qualche anno fa, era consuetudine utilizzare il maschile per la maggior parte dei mestieri qualificati, anche quando ci si riferiva alle donne: il chirurgo, l’avvocato, il deputato, il presidente. Molte donne ancora oggi prediligono l’uso del maschile perché lo sentono più prestigioso.


E’ importante quindi utilizzare un linguaggio più inclusivo che dia visibilità e riconoscimento sociale alle donne.

Usare il femminile quando si parla di una donna, oppure usare un linguaggio simmetrico quando ci si riferisce alla collettività o ancora usare un linguaggio neutro che oscuri entrambi i generi.

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3. Linguaggio Inclusivo: Schwa e la Questione di Genere

Il binarismo grammaticale della lingua italiana non permette di parlare di sé o di altre persone senza menzionare il genere di chi parla. Questo costituisce un limite per quelle persone che non si identificano in una categoria (persone bigender, agender o genderfluid)


In italiano, sono state adottate inizialmente alcune soluzioni come l’asterisco oppure l’utilizzo della vocale u a fine parola, in luogo del finale femminile o maschile.


Però queste soluzioni presentano delle problematiche come il fatto che la vocale u non può essere declinata al plurale, mentre l’asterisco non può essere letto.


Per questa ragione da un po’ di tempo si sta adottando anche nella lingua italiana parlata lo schwa. Lo schwa per il singolare (ǝ) e lo schwa lunga per il plurale (ɜ). Questi sono dei suoni vocalici che stanno a metà strada tra maschile e femminile.

4. Linguaggio inclusivo: la questione dei pronomi

Questo problema si rispecchia anche nell’utilizzo dei pronomi, proprio perché in italiano non esiste un pronome neutro per le persone non-binarie.


Nel caso dell’inglese il pronome non binario è they/them. E non “it” che al contrario viene utilizzato solo per le cose. In questo caso la persona Non-Binaria preferisce usare il pronome they, che non significa “loro” e si declina al singolare. Questo pronome non trova corrispettivo in Italiano.


Risolvere questo problema nella lingua inglese è molto più facile dato che molti aggettivi e sostantivi o verbi non hanno desinenze che identificano il genere.

5. Linguaggio Inclusivo: la Disabilità

L’inclusività ovviamente non fa riferimento solo al genere o all’orientamento sessuale. Ci sono altre categorie sociali invisibili perché non ci sono leggi che tutelino a sufficienza i loro diritti e sono vittime di un linguaggio stigmatizzante.


Nel caso delle persone con disabilità il discorso del linguaggio inclusivo è particolarmente sentito. Nel corso degli anni sono state utilizzate parole o espressioni particolarmente stigmatizzanti e svilenti.


Si parla di “persone CON disabilità” perché l’identità e lo spessore umano di una persona non possono essere ridotti e appiattiti su una singola caratteristica (la disabilità appunto), per quanto questa possa essere appariscente ai nostri occhi.


Inoltre, riferirsi a una persona con disabilità con espressioni come “malata di”, “affetta da”, o “portatrice di” è particolarmente svilente perché dà un’immagine della persona come malata, vittima o sofferente.

6. Linguaggio Inclusivo: L’Antirazzismo

Il linguaggio inclusivo e antirazzista è quello che contrasta le dottrine e le pratiche del razzismo. E’ necessario evitare di utilizzare un linguaggio tossico e stereotipato verso persone con particolari caratteri fenotipici (colorito della pelle, tipo dei capelli ecc.).


Il linguaggio non è solo una scelta individuale, ma è un costrutto sociale frutto del contesto di riferimento. Adottare un linguaggio o un approccio razzista, talvolta inconsapevole, deriva dal razzismo intrinseco nella società.


Per esempio, viviamo in una cultura che ha disumanizzato le persone nere per secoli, considerandole inferiori per motivi puramente politici e che oggi vivono problemi legati all’integrazione e subiscono aggressioni e micro-aggressioni razziste.


Partire da un linguaggio più inclusivo che valorizzi le diversità piuttosto che denigrarla, può essere un piccolo passo verso una società più egualitaria.

7. Linguaggio Inclusivo: Negli Altri Paesi

Per quanto riguarda la questione del linguaggio inclusivo rispetto all’identità di genere esiste un acceso dibattito anche in altri paesi.

  • In Spagna si è diffuso l’uso di elle al posto di él o ella. La desinenza -e viene usata in sostituzione di –o e –a, che come in italiano designano maschile e femminile. Per esempio, al neutro todos diventa todes;


  • L’Accademia svedese, nel 2015, ha aggiunto al dizionario ufficiale il pronome neutro hen. Creato a partire dal maschile han e dal femminile hon, Hen viene utilizzato quando non ci si riferisce a una persona non binaria.


Tuttavia, va detto che esistono alcune culture in cui il dibattito per un linguaggio inclusivo è quasi assente, in quanto per ragioni storiche e culturali la maggior parte delle persone non lo considera rilevante. È il caso della lingua russa e dell’arabo.

8. Cosa ne pensano le istituzioni?

Recentemente le Nazioni Unite hanno redatto delle direttive per ognuna delle 6 lingue ufficiali (arabo, cinese, francese, inglese, russo e spagnolo) finalizzate a favorire l’uso di un linguaggio inclusivo rispetto al genere.


L’ONU inoltre invita a fare un uso più consapevole della lingua, senza proporre neologismi, ma utilizzando un linguaggio più inclusivo, meno discriminatori, evitando per esempio il maschile esteso.



Per quanto riguarda le istituzioni Europee, il Parlamento europeo aveva adottato delle linee guida sulla neutralità del linguaggio nel 2008, che sono state aggiornate recentemente. Le puoi trovare qui.

9. Linguaggio Inclusivo: Politically Correct

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Una delle accuse che più spesso viene mossa al linguaggio inclusivo è quella dell’ipocrisia. Molte persone ritengono che il problema principale delle disuguaglianza non sia il linguaggio adottato per riferirsi a una categoria sociale, ma la società stessa.


Per creare l’uguaglianza non è necessario stravolgere il linguaggio, ma avviare un cambiamento sociale politico e culturale che solo successivamente potrà trovare riscontro nella lingua e che dietro il Politically Correct ci sia solo dell’ipocrisia.


In parte è vero, la società in cui viviamo è impregnata di ipocrisia, tuttavia l’uso di un linguaggio più inclusivo non è frutto di un capriccio o di una logica di mercato, ma è un’impellente esigenza sociale e politica.

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Giorgia Maura

Laureanda in Informazione, culture e organizzazione dei media, i miei interessi spaziano dall’attualità politica al teatro, dal jujitsu al trekking. Ho scritto contenuti per siti web in Sardegna, Repubblica Ceca e Germania, oggi collaboro con il Magazine di Scambieuropei.