Lasciare l’India è la parte più difficile. L’esperienza di volontariato di Simona
Simona è una volontaria partita con Scambieuropei per un campo di volontariato in India presso la Ong indiana FSL. L’ha colpita il calore e l’accoglienza delle persone ed ha imparato a contrattare come loro
Mi sento di dire che l’India sa mettere a dura prova chiunque la attraversi.
Il cibo speziato, le strade trafficate, il caos, le lotte con l’intuito per non farsi fregare fino all’ultima rupia, la grande povertà che ti assale incarnata dalle facce dei bambini che si aggrappano alla tua maglia per una moneta, magari mentre qualcun altro esce vestito di tutto punto da un albergo importante e vi passa accanto incurante.
Quelli che ti tormentano chiedendoti insistentemente una foto solo perché sei straniero, quelli che te ne scattano alcune senza chiedere permesso. Le code interminabili agli sportelli alle stazioni. Le strade sporche. Gli uomini insistenti. L’acqua calda solo nei posti più rari.
Ma questa è solo una parte, forse la prima che l’occhio vede ma di certo la prima che smetti di vedere quando dall’India invece ti fai accogliere, spogliandoti di tutti i preconcetti che ti annebbiano la mente.
E allora il cibo diventa il più saporito, anche se mangi la stessa cosa ogni giorno, a pranzo, a colazione, a cena. Soprattutto se lo mangi con le mani, mentre impari guardando le dita degli altri che si muovono esperte tra i chicchi di riso. E contrattare non ti fa sentire più fregato, ma diventa il modo per onorare un loro modo di fare affari.
E muoverti rapido tra la folla, le mucche, gli autorikshaw e le pozzanghere ti dà la sensazione che stai iniziando a capire la direzione da prendere. E tutto comincia davvero ad acquisire un senso diverso, quasi di appartenenza, tanto che senza che tu te ne accorga i tuoi sorrisi si allargano e ai tuoi sorrisi non c’è un solo Indiano che non sia pronto a rispondere con altrettante espressioni ancora più ampie e vivaci.
Fotocredits: Simona
I ragazzi di FSL che ci hanno sostenuto in questo viaggio hanno di sicuro il merito più grande.
Ci hanno accolto e accompagnato ogni giorno cercando di insegnarci a condividere il massimo nonostante i tempi brevi.
Ci hanno dato modo di vivere l’India lontana dal turismo di massa e vicina alle piccole gioie della vita quotidiana. E anche lavorare non diventa la ricerca spasmodica di aiutare qualcuno, ma semplicemente fare del proprio meglio per rendere ogni giorno intenso e speciale, perché è unico e non tornerà.
Due settimane aiutano molto proprio a questo, a prendere ogni singolo spunto e renderlo una risorsa, sempre e per ognuno. Sono un buon tempo per adattarsi senza appesantirsi troppo e senza farsi vincere da pensieri scomodi che inevitabilmente nascono quando ci si sente sotto pressione lontani da casa.
Lasciare l’India è la parte più difficile
Due settimane sono poche per conoscere l’India, così come per aiutare davvero qualcuno o per portare a termine gli obiettivi educativi previsti, che richiedono una presenza costante e tanto, tanto tempo.
Tuttavia è il tempo esatto per la mente per imprimere ogni emozione e renderla indelebile, e per lasciarsi andare alla fine di tutto senza starci troppo male.
Perché più che arrivare, è lasciare l’India la parte più difficile.
Voglio consigliare l’India a chi ancora non la conosce, per essere guidato e indirizzato in questo nuovo e immenso mondo, e soprattutto lo dico ai più giovani, dato che l’età di adesione è sotto i 25 anni e i più grandi rischiano di sentire troppo la differenza d’età, soprattutto se hanno già qualche esperienza di viaggi internazionali alle spalle.
Consiglio il Rajasthan a chi vuole vivere un’esperienza all’insegna della tradizione e della cultura, meno a chi è in cerca di natura o della vena più spirituale dell’India.
Imparare poche parole in Hindi aiuta tantissimo a scoprire i lati più amorevoli della comunità, come seguire le regole e i codici di comportamento.
Ciò che sembra una limitazione della libertà può diventare un’ottima chiave di contatto con un popolo che sa accoglierti con rispetto e (a volte fin troppa) reverenza.
Testo e Fotocredits Simona