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Diario della Quarantena: I tre mesi in cui (non) ho vissuto a Bruxelles

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Redazione

Cosa succede quando parti per un’esperienza all’estero e il mondo si chiude in quarantena? Una testimonianza da Bruxelles, unita a qualche consiglio per affrontare questo momento

Il 16 febbraio 2020 sono arrivata a Bruxelles. Il piano era di vivere nella capitale europea fino a giugno, svolgendo un tirocinio in università a Leuven (Lovanio), una città fiamminga poco lontana.

Avrei dovuto lavorare come assistente di italiano, dando qualche lezione di lingua e fornendo un aiuto extra a chi ne avesse avuto bisogno. E così, effettivamente, è stato. Dal 16 febbraio abito a Bruxelles e porto avanti il mio tirocinio, do lezioni di lingua e cerco di dare una mano dove serve. Tutto come previsto, dunque.

Tre settimane dopo il mio arrivo, però, mi sono ritrovata chiusa in casa.

bruxelles

Imprevisti

A marzo 2020 il mondo ha capito che stava accadendo qualcosa di grosso, che avrebbe cambiato drasticamente le nostre vite normali, organizzate, previdenti.

Un virus come tanti, ma molto più “pazzerello”, ha cominciato a diffondersi di starnuto in starnuto; di stretta di mano in abbraccio; di carezza in bacio. Subdolo e meschino, ci ha costretti ad allontanarci per difenderci. Ha trasformato il nostro bisogno più intimo nella cosa per noi più pericolosa.

Costretti a comunicare solo a distanza, nell’isolamento delle nostre case, è possibile che alla fine di tutto questo rivaluteremo il valore che diamo ai miti odierni dell’indipendenza e del totale individualismo? Ridaremo agli affetti e alle relazioni umane il loro giusto valore?

Il virus, però, non vuole la nostra distanza. Ci vorrebbe vicini, in modo da potersi spostare da un corpo all’altro, riprodursi e prosperare.

mani che si toccano

La legge dell’adattabilità

La natura è un misterioso insieme di equilibri, un sistema spietato per certi versi, in cui domina la legge del più forte. Gli obiettivi sono due: la sopravvivenza e la perpetuazione della specie. Come questo avvenga è di poco conto.

In questo aspro scenario, non dobbiamo dimenticarci, però, l’altra fondamentale legge di natura: la legge dell’adattabilità. In natura non sopravvivono solo i più forti, ma anche le specie che meglio si adattano all’ambiente.

Adattarsi, però, non significa rinnegare sé stessi; piegarsi “debolmente” a una fonte di oppressione. Al contrario, adattarsi significa sapervi sopravvivere limitando i danni e massimizzando i vantaggi che si possono trarre da una nuova situazione.

Fiore di loto

Come l’acqua, che trova sempre un modo di scorrere e una direzione verso cui tendere, così l’animale e l’uomo possono “evolversi” trovando il miglior modo di adattarsi ai contesti che cambiano.

Nella mia vita, ho sempre considerato l’adattabilità un grande punto di forza. Da quando ho ottenuto un po’ di indipendenza (quella che spaventa, che inizia a pesare sulle spalle), ho sempre cercato di coltivare questa qualità. Ora più che mai è il momento di abbracciare questa prospettiva.

Questo è l’unico consiglio (tra l’altro non richiesto) che mi sento di dare a chi decide di leggermi: siate adattabili, flessuosi, elastici. Provate a trarre il massimo da questa situazione – o almeno a limitare i danni che potreste subire.

pianta

La (non) vita a Bruxelles

A causa di tutto questo, io (non) vivo a Bruxelles. Ma qualcosa, questa città, è riuscita comunque a trasmettermelo, anche in un tempo così breve.

Bruxelles mi ha accolta con la bellezza del suo cosmopolitismo fin dal primissimo momento. Le insegne bilingui, i ristoranti da ogni angolo del globo, i negozi etnici: tutto meraviglioso.

Quando sono arrivata, mi sono sentita come in un mondo in cui le nostre differenze possono convergere in un solo punto d’incontro, dove il bello e il meglio di ogni popolo contribuisce a creare un magnifico puzzle colorato.

Un mondo utopico, forse, che purtroppo, come sappiamo, non è ancora possibile – nemmeno a Bruxelles. Esistono le tensioni e le disuguaglianze sociali; ci sono zone della città in cui mi è stato sconsigliato di andare e che quindi non ho nemmeno visto. Però una speranza, in quel misto di persone, lingue e profumi, l’ho provata.

Ora non posso vivere Bruxelles, anche se fisicamente mi ritrovo qui ancora per un po’. Non basta trovarsi fisicamente in un luogo per conoscerlo e capirlo. L’isolamento forzato e la vita online rendono lo spazio fisico quasi insignificante.

Tutto ciò che faccio qui, in casa, potrei farlo in qualsiasi altro luogo. Tutto quello che questa città e questo paese hanno da offrire, invece, è unico e inestimabile.

Sono nata nell’Europa di Schengen e della generazione Erasmus. Ho fatto del viaggio e dell’incontro con altre culture un perno della mia vita da giovane adulta.

Vivere tra Bruxelles e Leuven rappresentava per me l’occasione di conoscere un altro paese europeo, sia nella sua dimensione francofona e cosmopolita sia nella sua versione fiamminga. Ma la vera scoperta dovrà aspettare.

Nel frattempo, continuo a perseguire la via dell’adattabilità. Anche se il mondo fuori di me è al contempo immobile e isterico, il mondo dentro di me cerca di avanzare, mantenendo la calma e la lucidità.

Bruxelles, per ora, è una speranza per il futuro. Un bellissimo insieme di tetti fuori dalla mia finestra.

Di: Carolina Bonsignori

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Verrà pubblicato sul Magazine di Scambieuropei

Responsabile editoriale di Scambieuropei e coordinatrice delle piattaforme digitali. Da sempre interessata ai viaggi e al mondo della mobilità giovanile